sabato 20 novembre 2010

Noi credevamo

Noi credevamo, di Mario Martone, con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Italia-Francia, 2010. 
Punteggio ★★★   

Un film di notevole impegno politico e civile. Curatissimo nella ricostruzione di ambienti, abbigliamenti, dialetti, musiche; delicato nelle immagini della natura; attento alle dinamiche della storia. In questi anni di indifferenza civile, di malefatte pubbliche e  private elevate a rango di "capacità", di indici di vendita scambiati per qualità culturali, è un film da applaudire perché ha il coraggio di riproporre il tema del Risorgimento come aspirazione velleitaria di giovani nobili prima e come "rivoluzione tradita" poi, di mostrare quanto l'Italia sia stata costruita su una unificazione forzosa e restauratrice, di ricordare che, sotto i cambiamenti, la struttura sociale e le ineguaglianze sono rimaste le stesse. E' vero che questi temi non sono una novità, né per la storiografia né per il cinema; a quest'ultimo riguardo basti pensare a titoli come San Michele aveva un gallo, Uomini contro o Quant'è bello lu murire acciso. Però e anche vero che certe cose è importante il momento in cui le si dice e oggi, all'incrocio tra celebrazioni dei 150 anni dell'Unità e trasformazione dell’impero di Bokassa Berlusconi, è ancora più importante dirle. Inoltre, e questa è forse uno dei pochi elementi originali del film, riesce a trasmetterci la rilevanza del tradimento nelle vicende storiche. La vecchia ma sempre valida tesi del "voltagabbana" come uno dei nostri caratteri nazionali trova vivace e valida rappresentazione lungo tutto il film.
Ho letto una recensione di Mario Sesti su FilmTV, scritta benissimo, che dice: "ciò che veramente colpisce è la densità e la continuità del sentimento in cui è in immersione tutto il film, quel senso di aspirazioni disattese, di destino avverso, di ideali andati a male, di violenta rassegnazione e rancore nichilista, di ingiustizia e indifferenza, di intrigo e disfatta, di rammarico e fallimento. Una sensazione così forte che la si sente ancora addosso dopo giorni e che somiglia tantissimo a qualcos’altro che ci è vicino, altrettanto irreparabile e familiare”. Ecco, il problema è che nella mia percezione questa atmosfera nel film non c'è ed è questo il suo limite di fondo. Come prodotto intellettuale è rispettabile, come film è povero nel senso che è freddo, didascalico, che non riesce a far filtrare fino a noi quella passione di cui si vorrebbe sostanziare l’intera trama. Segno di debolezza autoriale è poi il voluto inserimento di alcuni elementi scenografici storicamente incongruenti (i pilastri in cemento armato, la scala in metallo trafilato ecc.), per spiegarci, nel caso non lo avessimo capito, che ieri e oggi  sono un tutt'uno.
L’icona patria Servillo riesce, nell'interpretare Mazzini, a mantenere per tutto il film lo sguardo fisso dal basso verso l’alto, dandoci così una sensazione forte di cane bastonato sotto la pioggia. Grande invece Lo Cascio. Di una certa sensualità Francesca Inaudi.
PS. Il manifesto del film è uno dei più brutti che abbia mai visto.

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